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1928, St. Moritz: Giochi d’èlite

L’idea di fondo del Cio, negli anni Venti, era quella di mantenere sempre abbinati nello stesso Paese i Giochi estivi e quelli invernali. Ma, probabilmente, le nozioni orografiche dei componenti del Consiglio erano piuttosto scarse, visto che assegnarono i Giochi estivi del ’28 ad Amsterdam, che avrebbe forse potuto ospitare gli sport del ghiaccio in inverno, ma che presentava un territorio talmente piatto da non poter certo pensare di poter realizzare piste da sci, o di bob. Quindi, i Giochi dell’inverno di quell’anno andarono a St. Moritz, centro nodale dell’Engadina e, già allora, rinomata località turistica per amanti della neve e degli sport invernali.
La passione era davvero tanta negli svizzeri, che già vantavano una lunga esperienza nell’organizzazione di gare di bob e skeleton sulla mitica “Cresta Run”, la pista naturale che da oltre un secolo si ricostruisce ogni inverno modellando il ghiaccio e che, vent’anni dopo, regalerà all’Italia la prima medaglia olimpica della storia. Ma questa è una storia che racconteremo a tempo debito. A St. Moritz si disputavano anche gare di corsa di cavalli sulla neve, hockey e molto altro, per cui le competenze organizzative dei club svizzeri erano sicuramente all’altezza per realizzare una splendida edizione olimpica.
La partecipazione degli atleti italiani fu caldeggiata e sostenuta dal regime fascista che ne innalzava “lo spirito di razza e l’amor di patria”. Un po’ come dire che l’improvvisazione che contraddistingue da sempre gli italici avrebbe potuto sopperire alle carenze tecniche e alla mancanza di preparazione della nostra squadra. Era l’Italia del ciclismo, del football, del pugilato, gli sport della neve e del ghiaccio erano praticati solo da poche centinaia di persone e in maniera discontinua. la Gazzetta dello Sport titolò: “Gli azzurri affrontano animosamente l’impari battaglia”, ad ulteriore conferma. La foto in prima pagina ritraeva il tenente Enrico Silvestri, che avrebbe comandato la pattuglia militare, sport sempre dimostrativo, ma di grande fascino. Si gareggiò nelle stesse discipline di quattro anni prima, con l’aggiunta dello skeleton, sport molto apprezzato nella località.
L’Italia non poteva aspirare a medaglie, ma presentò 17 atleti, solo per sci, bob e skeleton. Nessuno nel ghiaccio. E, incredibilmente, una medaglia, la delegazione italiana, la sfiorò, grazie all’abilità di Agostino Lanfranchi nello skeleton, dove il 35enne bresciano si classificò al quarto posto. Lanfranchi proveniva da una ricca famiglia di imprenditori nell’industria della produzione di bottoni e fibbie e prestò servizio come staffetta motociclista nella Prima Guerra.
Fece sognare anche Vitale Venzi, nel salto, disciplina a totale appannaggio dei nordici. Ma Venzi, valtellinese residente a St. Moritz, conosceva bene gli impianti olimpici e sembrava poter fare il colpaccio con il secondo posto nel salto della combinata. Purtroppo, un errore nella sciolinatura degli sci di fondo lo attardò fino a concludere al 21° posto.
Quarto posto anche nella gara delle pattuglie militari, guidata dal tenente Silvestri, con il sergente Pelissier e i soldati Confortola e Maquignaz. Quest’ultimo, cadde rovinosamente in una curva in discesa, provocandosi pesanti escoriazioni al viso, ma tagliò stoicamente il traguardo, completamente insanguinato e fra l’ovazione della folla.
Sonja Henie, la 15enne pattinatrice norvegese che undicenne prese parte anche alla prima edizione dei Giochi, fu classificata ultima a St. Moritz e si sciolse in un pianto consolatorio. Poi si rivolse alla Giuria e disse. “mi vedranno fra quattro anni i signori giudici, mi vedranno..”. Promessa che sarà mantenuta dalla giovane stellina che si avviava a diventare una star internazionale. Fu la protagonista assoluta della cerimonia di chiusura, durante la quale esaltò la folla che la premiò con un lunghissimo applauso.
@foto Wikipedia

1928, St. Moritz: Giochi d’èlite
L’idea di fondo del Cio, negli anni Venti, era quella di mantenere sempre abbinati nello stesso Paese i Giochi estivi e quelli invernali. Ma, probabilmente, le nozioni orografiche dei componenti del Consiglio erano piuttosto scarse, visto che assegnarono i Giochi estivi del ’28 ad Amsterdam, che avrebbe forse potuto ospitare gli sport del ghiaccio in inverno, ma che presentava un territorio talmente piatto da non poter certo pensare di poter realizzare piste da sci, o di bob. Quindi, i Giochi dell’inverno di quell’anno andarono a St. Moritz, centro nodale dell’Engadina e, già allora, rinomata località turistica per amanti della neve e degli sport invernali.
La passione era davvero tanta negli svizzeri, che già vantavano una lunga esperienza nell’organizzazione di gare di bob e skeleton sulla mitica “Cresta Run”, la pista naturale che da oltre un secolo si ricostruisce ogni inverno modellando il ghiaccio e che, vent’anni dopo, regalerà all’Italia la prima medaglia olimpica della storia. Ma questa è una storia che racconteremo a tempo debito. A St. Moritz si disputavano anche gare di corsa di cavalli sulla neve, hockey e molto altro, per cui le competenze organizzative dei club svizzeri erano sicuramente all’altezza per realizzare una splendida edizione olimpica.
La partecipazione degli atleti italiani fu caldeggiata e sostenuta dal regime fascista che ne innalzava “lo spirito di razza e l’amor di patria”. Un po’ come dire che l’improvvisazione che contraddistingue da sempre gli italici avrebbe potuto sopperire alle carenze tecniche e alla mancanza di preparazione della nostra squadra. Era l’Italia del ciclismo, del football, del pugilato, gli sport della neve e del ghiaccio erano praticati solo da poche centinaia di persone e in maniera discontinua. la Gazzetta dello Sport titolò: “Gli azzurri affrontano animosamente l’impari battaglia”, ad ulteriore conferma. La foto in prima pagina ritraeva il tenente Enrico Silvestri, che avrebbe comandato la pattuglia militare, sport sempre dimostrativo, ma di grande fascino. Si gareggiò nelle stesse discipline di quattro anni prima, con l’aggiunta dello skeleton, sport molto apprezzato nella località.
L’Italia non poteva aspirare a medaglie, ma presentò 17 atleti, solo per sci, bob e skeleton. Nessuno nel ghiaccio. E, incredibilmente, una medaglia, la delegazione italiana, la sfiorò, grazie all’abilità di Agostino Lanfranchi nello skeleton, dove il 35enne bresciano si classificò al quarto posto. Lanfranchi proveniva da una ricca famiglia di imprenditori nell’industria della produzione di bottoni e fibbie e prestò servizio come staffetta motociclista nella Prima Guerra.
Fece sognare anche Vitale Venzi, nel salto, disciplina a totale appannaggio dei nordici. Ma Venzi, valtellinese residente a St. Moritz, conosceva bene gli impianti olimpici e sembrava poter fare il colpaccio con il secondo posto nel salto della combinata. Purtroppo, un errore nella sciolinatura degli sci di fondo lo attardò fino a concludere al 21° posto.
Quarto posto anche nella gara delle pattuglie militari, guidata dal tenente Silvestri, con il sergente Pelissier e i soldati Confortola e Maquignaz. Quest’ultimo, cadde rovinosamente in una curva in discesa, provocandosi pesanti escoriazioni al viso, ma tagliò stoicamente il traguardo, completamente insanguinato e fra l’ovazione della folla.
Sonja Henie, la 15enne pattinatrice norvegese che undicenne prese parte anche alla prima edizione dei Giochi, fu classificata ultima a St. Moritz e si sciolse in un pianto consolatorio. Poi si rivolse alla Giuria e disse. “mi vedranno fra quattro anni i signori giudici, mi vedranno..”. Promessa che sarà mantenuta dalla giovane stellina che si avviava a diventare una star internazionale. Fu la protagonista assoluta della cerimonia di chiusura, durante la quale esaltò la folla che la premiò con un lunghissimo applauso.
@foto Wikipedia